Clima e finanza
Clima e finanza si incontrano. Il cambiamento climatico sta indiscutibilmente modificando il livello dei prezzi dei beni alimentari con ripercussioni importanti sulla nostra capacità di acquisto.
“Il cambiamento climatico impatta sulle risorse, sull’agricoltura, sulle infrastrutture e sulla produzione di energia, comportando un aumento dei costi generali che a sua volta influenza i prezzi dei beni e dei servizi offerti al pubblico” questa la situazione illustrata da Consumerismo No Profit, un’associazione che si occupa della tutela dei consumatori.
Negli ultimi anni abbiamo fatto esperienza di eventi climatici estremi, a cui molto spesso non eravamo abituati o preparati. Portando a una presa di coscienza anche per i più scettici.
Questo fenomeno sta impattando, ora, su un aspetto che coinvolge tutti noi: l’aumento dei prezzi dei beni alimentari.
L’Italia è uno dei Paesi più colpiti
All’interno dell’Unione Europea l’Italia è uno dei Paesi in cui le conseguenze stanno impattando in maniera più significativa. Parliamo di 35,6 miliardi di euro bruciati nel decennio tra il 2010 e il 2020, secondo gli ultimi dati Eurostat. Un costo di 41 euro annui per ogni italiano.
Il caldo estremo e i fenomeni climatici catastrofici stanno incidendo sul portafoglio degli italiani per un totale stimato di 4,7 miliardi di euro ogni anno.
Per descrivere questo fenomeno “Consumerismo No Profit” ha parlato di Inflazione Climatica. O ancora di “Heatflation”, dall’unione di Heat e Inflation. Un sostantivo che si coniuga perfettamente con la situazione che stiamo vivendo. Il cambiamento climatico che guida la nostra capacità di acquisto.
Amplificate le disuguaglianze sociali
L’aumento dei prezzi dei beni alimentari non è certamente la sola conseguenza della crisi climatica. Le temperature si assestano su livelli decisamente più alti, portando un incremento anche nell’utilizzo dei condizionatori, non un bene alla portata di tutti.
Risultato? Le diseguaglianze sociali risultano ulteriormente marcate.
Combattere le speculazioni
Un altro tema riguarda le speculazioni dei grandi distributori di prodotti alimentari. Le denunce sono prevenute da associazioni quali Safe Food Advocacy, iPES Food e Foodwatch.
In merito a questo è stato redatto un rapporto in cui si evince che tra il 2020 e il 2022 le società di investimento specializzate abbiano aumentato dell’870% i propri acquisti con finalità speculative sui principali mercati a termine di materie prime alimentari.
In questo senso SAFE Food Advocacy ha richiesto che vengano introdotti come pratiche commerciali sleali gli aumenti sui prezzi dei beni alimentari senza alcun fondamento o motivazione.
Cosa possiamo fare come consumatori?
L’idea è quella di fermare quanto più possibile questo fenomeno, contando anche sulle capacità critiche di noi consumatori. Non siamo sicuramente i responsabili diretti di questo fenomeno, ma parte dai noi (in quanto consumatori) la decisione di denunciare queste pratiche sleali e non cedere alle logiche di rialzo immotivate.